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    BEYOND DIVERSITY. Tra “normalità”, differenza e nuovi paradigmi del riconoscimento

    Da anni mi occupo di tematiche ed iniziative che in ambito aziendale ed HR confluiscono sotto il cappello della Diversity, Equity & Inclusion. Una dimensione di ricerca e lavoro che ha accompagnato nel tempo la mia carriera professionale fino a trasformarsi negli ultimi anni in uno degli ambiti preponderanti e delle direttrici fondamentali del mio operare. 

    Negli ultimi mesi ho lavorato insieme al team Lifeed in maniera intensiva proprio su questi temi. Mi piacerebbe condividere con voi alcune riflessioni in merito, risultato mai definitivo di un percorso che vuole tenere insieme in ogni istante respiro teoretico-filosofico, esperienza sul campo, bisogni e voci emergenti dalla prassi.

    Il concetto di diversità appare al mio sguardo profondamente ed implicitamente connesso al concetto di normalità

    Il concetto di normalità è infatti per sua natura un concetto di tipo comparativo, che tende ad indicare una regolarità o certa frequenza di tipo statistico o ancora, adottando una prospettiva più socio-culturale, qualcosa che appare normale in quanto “consueto, abituale, regolare…”. Appare inoltre piuttosto evidente ad un’osservazione descrittiva come ad affermare La normalità e “che cosa sia normale” siano generalmente i gruppi in posizione dominante. 

    La normalità” è quindi un concetto spesso non neutro, che porta con sé la maggior parte delle volte una ben definita gerarchia di potere (esplicita o implicita che sia) ed un giudizio di valore.

    E questo che cosa ha a che fare con “la diversità”?

    Vorrei partire portando innanzitutto il discorso in una dimensione e prospettiva di tipo logico: pensiamo agli operatori elementari, laddove l’identità è una proprietà che può essere affermata ed attribuita ad un singolo elemento preso in esame, con un’operazione autoreferenziale di tipo tautologico, l’attribuzione della proprietà di “diversità” richiede invece la presenza di almeno due  termini messi a confronto e paragone. 

    L’affermazione della diversità porta quindi con sè implicitamente e già da subito l’affermazione di una differenza tra due. Interessante a questo proposito la prima definizione e il primo significato attribuiti da Treccani alla parola differenza: “L’esser differente: mancanza di identità, di somiglianza o di corrispondenza fra persone o cose che sono diverse tra loro per natura o per qualità e caratteri”.  

    Essendo questa la prima definizione presentata, è probabile sia almeno in parte anche specchio del linguaggio comune e del suo uso quotidiano. Poiché le parole non sono mai neutre, è probabile che su un terreno pragmatico e nel suo utilizzo la parola differenza possa aver assorbito in maniera implicita l’aurea semantica di questa definizione “al negativo”:  “essere differenti” potrebbe quindi fin da subito essere investito, percepito e vissuto come un “essere manchevoli di. 

    Non partiamo proprio benissimo, non trovate?

    Se invece proseguendo con Treccani spostiamo la questione su un piano più filosofico pare venirci in aiuto Aristotele: 

    “[…] in filosofia, per differenza s’intende l’alterità, ossia la non identità, tra cose appartenenti allo stesso genere e aventi in comune la qualità per cui differiscono (figura, forma, colore), sicché la differenza implica sempre una determinazione. Anche, il carattere o l’insieme di caratteri che costituiscono la differenza stessa: così, nella classica esemplificazione aristotelico-scolastica, la «razionalità» è la differenza (d. specifica) dell’uomo da altro ente dello stesso genere animale”. 

    Approdiamo così ad un concetto più positivo ed inclusivo di differenza e diversità: intese come alterità, come l’altro, e ancora, intese come differenza specifica, ossia riconoscimento di quell’insieme di caratteristiche che connotano e sostanziano questa identità-altra, la quale può essere comparata con me o altri in virtù di una più fondamentale comunanza.

    Con questo passaggio apriamo il ventaglio delle possibilità semantiche ed interpretative e ci incamminiamo lungo una strada diversa dalla precedente: si apre infatti la strada del riconoscimento. Un riconoscimentoche,  fondandosi su una più fondamentale comunanza, può partire dalla specificità ed unicità delle molteplici caratteristiche di ciascuno considerate in sé, nella propria ricchezza, varietà, abilità, e variazioni specifiche.

    Questo cambia la prospettiva, cambia il punto di osservazione e muta il possibile punto focale, modificando di conseguenza parte dei nostri pre-supporti impliciti e delle possibili strade di significazione.

    Concludendo, vorrei spostare queste considerazioni su un terreno molto più pragmatico, quello aziendale.

    Ho avuto la fortuna di lavorare in prima persona, essere responsabile ed assistere a molteplici progetti di Diversity & Inclusion in azienda. Con gioia ho osservato negli ultimi anni una crescente sensibilità nei confronti di questi temi, che sono finalmente balzati in cima alle priorità delle Leadership, come dimostrano le molte analisi pubblicate sul tema.   

    Mentre proseguiamo il cammino verso una maggiore equità di trattamento, condizioni e possibilità per ciascuno,  guardando avanti oltre all’attuale ritengo che nei prossimi anni diventerà importante non adagiarsi in un “già detto” o in un “già fatto” ma spingere sempre più in là l’asticella del riconoscimento e della valorizzazione. 

    Come fare? 

    Lavorando fin da ora sulle nostre abitudini di pensiero ed assunzioni implicite, che senza accorgercene potrebbero giocare un ruolo antagonista rispetto alla volontà dichiarata di sviluppare un ambiente lavorativo inclusivo che favorisca la promozione, valorizzazione e pari opportunità per tutti. Ruolo antagonista che paradossalmente rischia di essere ancor più marcato proprio in questo periodo di ridisegno del “Futuro del lavoro”, vorrei citare a proposito un passaggio emblematico tratto dalle ricerche di Gartner e pubblicato nell’ultimo HR Leaders Monthly Magazine:

    Hybrid work has the potential to significantly worsen diversity, equity and inclusion (DEI) outcomes for employees. For example, 76% of managers say on-site employees are more likely than remote workers to be promoted. Considering that women and employees from underrepresented groups are more likely to want to leverage hybrid or flexible work, managers’ proximity bias becomes a recipe for poor DEI outcomes.”

    (Source: Gartner, HR Leaders Monthly Magazine Maggio 2022)

    Con una prospettiva più di lungo periodo ed ampia visione, il next step che si impone all’attenzione dovrà quindi essere un allenamento sia del pensiero che dello sguardo, attraverso pratiche riflessive come le pratiche filosofiche, che aiutino ad andare oltre e superare anche il tradizionale clustering delle differenze individuali raccolte nelle categorie e nei gruppi tradizionali di Diversity aziendale (by gender, age, ability etc etc). 

    Andando al di là dei cluster e verso la valorizzazione della molteplicità e della complessità: molteplicità di dimensioni e di diversità che abita già in ciascuno di noi… e molteplicità delle nostre irriducibili unicità.

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    Le competenze delle madri trasferite sul lavoro. Dialogo Caring Company (Lifeed | Unipol)

    Ultimamente si sente spesso parlare delle ‘grandi dimissioni’, Great Resignation, un fenomeno che, partito in USA, sta scuotendo il mondo ed il mercato del lavoro anche qui in Europa ed Italia.

    Un fenomeno che porta con sé interessanti riflessioni circa le dimensioni del senso e del significato attribuiti da ciascuno di noi al lavoro, e che ci interpella circa il ruolo attribuito da ognuno alla sfera professionale all’interno della propria vita e dei propri progetti esistenziali.

    Non debbono sfuggire all’analisi però alcuni dati importanti relativi al fenomeno nel nostro Paese, i dati ci indicano infatti come “i carichi di cura familiari continuino a pesare maggiormente sulle spalle delle donne, in particolare delle madri, con un impatto negativo sul fronte occupazionale: delle 42mila dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni nel 2020, il 77,4% è rappresentato dalle mamme.” (Fonte: Lifeed, sui dati dell’Ispettorato nazionale del Lavoro)

    Uno scenario che potrebbe apparire quindi sconfortante, di sicuro spia di una strada ancora lunga da percorrere per poter colmare un inaccettabile gender gap. Eppure, come per ogni cosa, la differenza può farla soprattutto il modo in cui osserviamo la realtà, punto di partenza di ogni possibile azione.

    Importante quindi arricchire il nostro sguardo anche con altri dati, mi riferisco in questo caso ai dati dell’Osservatorio vita-lavoro di Lifeed, che “raccontano che le madri, se viste e valorizzate dalle aziende, possono dare un contributo positivo in ambito professionale, partendo proprio dalle competenze sviluppate nell’esperienza genitoriale. L’82% delle mamme coinvolte nei percorsi Lifeed ha scoperto di avere più forza di quanto credesse e di possedere capacità che non pensava di avere. Anche le competenze di leadership risultano più elevate per chi si prende cura di qualcuno, in particolare i neo genitori.” (Fonte cit. Lifeed)

    Come spesso accade nelle situazioni concrete, la domanda filosofica fondamentale anche in questo caso è dunque come fare? Come fare per valorizzare nelle aziende il ricco bagaglio esperienziale e di competenze delle donne e delle madri?

    Proprio su questo interrogativo dialogherò insieme ad un panel di professioniste e mamme nel Digital Talk Caring Company questo giovedì 5 maggio alle 11.30. Avrò il piacere di moderare un panel di speaker con cui poter dialogare sul tema da differenti prospettive:

    • Martina Borsato, Data Strategist di Lifeed
    • Alice Brioschi, Curatrice Editoriale
    • Francesca Martino, Coordinatrice Spazio Donna Milano di WeWorld Onlus
    • Sabina Tarozzi, Responsabile Programmi di Welfare di UnipolSai Assicurazioni Spa

    Se vi va di partecipare, potete registrarvi a questo link.

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    People Caring. Insieme a Lifeed per cambiare aziende e Leadership all’insegna della cura per le persone

    La cura è un tema che mi è sempre stato molto caro.

    Secondo il filosofo Martin Heidegger, la cura è una dimensione essenziale dell’essere umano, che realizza il suo progetto di vita prendendosi cura del proprio “essere nel mondo”.

    Cosa succede se trasponiamo queste riflessioni nel mondo del lavoro?
    Cosa può succedere quando le aziende mettono la cura delle persone come loro priorità?

    Una direzione di ricerca e lavoro che vale senza dubbio la pena esplorare.

    Incontrare lungo il percorso compagni di viaggio con la stessa visione e gli stessi valori rende questo cammino ancora più eccitante e significativo.

    Con piacere condivido questo nuovo progetto sbocciato ad inizio 2022: come Customer Executive Advisor, responsabile Advisory, Learning & Development per i clienti Top Enterprise, sono felice di lavorare insieme al team di Lifeed e Riccarda Zezza verso questa bella missione!

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    Abacorn-manifesto: le radici del metodo

    Assistiamo oggigiorno ad una vivace proliferazione di pratiche dedicate allo sviluppo personale, alla crescita, alla formazione di persone e team, al cambiamento, all’orientamento di carriera ed al supporto in situazioni complesse. Segno evidente di una domanda in crescita, riscontrabile sia a livello individuale che aziendale.

    Già nel XVI secolo il noto filosofo induttivista Francis Bacon affermava che “scientia potentia est”, sapere è potere. Ricontestualizzando questa affermazione nel nostro mondo contemporaneo, se da un lato la quantità e varietà di informazioni e pratiche accessibili ha moltiplicato in maniera esponenziale le nostre possibilità conoscitive, dall’altro ha reso più difficile il compito del farsi strada tra esse, per scegliere in maniera informata e consapevole.

    Ecco perchè ritengo deontologicamente importante dedicare questo breve articolo a condividere alcuni tratti chiave dell’approccio metodologico ed epistemologico che anima le pratiche riflessive, il Counseling Filosofico e le pratiche consulenziali di abacorn. Benchè le pratiche vengano disegnate e realizzate in maniera personalizzata sulla base delle esigenze dell’interlocutore, degli obiettivi e dello specifico contesto di riferimento aziendale, è possibile rintracciare, trasversale ad esse, un fil rouge sempre presente. Una sorta di DNA composto da valori profondi e da un insieme di sistemi di riferimento fondamentali.

    Nei miei studi universitari ho avuto il privilegio di essere allieva del compianto filosofo G. Giorello e del Prof. C. Sinigaglia, laureandomi in Epistemologia delle Scienze Umane e Filosofia della Scienza: un’indagine critica dei fondamenti, dei presupposti e dei metodi è dunque sempre stata per me condizione preliminare imprescindibile per vagliare validità ed efficacia di qualsiasi forma di impresa umana, gnoseologica e/o pragmatica.

    In linea con tale convinzione personale e forma mentis professionale, condivido quindi sinteticamente alcuni assunti fondamentali in cui le pratiche di abacorn affondano le proprie radici, nutrendosi di / facendosi guidare da:

    – una concezione complessa e positiva dell’essere umano, concepito come un essere bio-psico-sociale. La realizzazione delle potenzialità e possibilità della persona ed il suo ben-essere sono posti al centro delle pratiche, adottando un atteggiamento di fiducia nei confronti delle capacità e risorse personali (paradigmi della complessità e del Counseling Umanistico);

    – un atteggiamento filosofico ed insieme una modalità dello stare-in-relazione in maniera empatica, autentica ed evoluta. Che cosa significa? Porsi in un atteggiamento filosofico vuol dire porsi in un atteggiamento di ricerca condivisa, di esplorazione, al contempo di confronto e di incontro, essere da stimolo ad un pensare insieme, un pensiero dialogico. Mettere l’accento anche sulla dimensione relazionale è il necessario complemento di un atteggiamento filosofico che sceglie consapevolmente di essere ‘sensibile‘, attento all’Altro, mettendo in campo e a disposizione capacità e soft skills modellati in anni di lavoro ed esperienza professionale ed attraverso il trienno formativo da Counselor;

    – una forma di consapevolezza essenziale delle dinamiche relazionali, che rende necessario per il consulente un serio, preliminare e profondo lavoro di conoscenza ed analisi di sé non auto-condotta. Su questo punto, tra le offerte formative disponibili la mia decisione è stata quella di specializzarmi in Philosophical Counseling & Practices presso la SSCF – Scuola Superiore di Counseling Filosofico, la prima e più antica scuola in Italia, fondata nel 1999 e diretta tutt’oggi dal Prof. Lodovico Berra, Medico specialista in Psichiatria, Psicoterapeuta e Counselor Filosofico. Ciò che ne deriva è da un lato il pieno rispetto degli strumenti, ambiti e metodi delle discipline psicologiche con le quali, nell’ottica di una complementare multidisciplinarietà, si intrattiene un fertile dialogo, e dall’altro al contempo una forte differenziazione da esse: le pratiche di abacorn non sono pratiche di tipo psicologico;

    – un’intrinseca apertura alla interdisciplinarietà ed al dialogo con le più contemporanee scoperte scientifiche, teorie e pratiche della formazione aziendale, della Leadership e del management;

    – una ricchissima, feconda tradizione millenaria di teorie e metodologie propriamente filosofiche, che connotano in maniera specifica le pratiche ed a cui poter attingere di volta in volta con flessibilità;

    – una personale, diretta ed articolata esperienza in azienda: da oltre 14 anni lavoro come Responsabile presso grandi aziende multinazionali, brand all’avanguardia nel campo dell’innovazione, della consulenza e delle risorse umane, in cui quotidiana è l’interazione strategica con Manager ed Executives delle più importanti aziende italiane. Un punto di osservazione pragmatico privilegiato che ha consentito di forgiare una prospettiva personale unica, che tiene insieme Humanities e Digital, pragmatismo e vision, business acumen e sensibilità filosofica.

    Un ultimo spunto di riflessione.

    Coloro che bazzicano in contesti Business sanno benissimo quanto sia fondamentale, per porsi come attori efficaci in un mercato altamente competitivo, definire in maniera chiara il proprio posizionamento.

    Quanto ho voluto qui proporre è in realtà qualcosa di lievemente differente: condividere i tratti salienti della postura esistenziale che alimenta le pratiche di abacorn. Perchè sia possibile comprendere non solo che cosa faremo insieme, ma anche chi incontrerete.

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    Formazione, Business e Filosofia: l’alba di una nuova collaborazione

    I periodi che precedono l’avvio ed il lancio di nuovi progetti sono spesso fasi di gestazione in cui intenso è non solo il lavoro pragmatico perchè questi possano vedere la luce, ma anche il lavorìo interiore, lo sviluppo e l’evoluzione personali. Ciò è tanto più vero quanto più questi progetti siano sentiti come propri, rilevanti per la propria realizzazione esistenziale autentica.

    Grazie anche al lavoro di continuo aggiornamento professionale interdisciplinare degli ultimi mesi, questo nuovo anno porta subito con sè una bella novità. Con piacere vi condivido l’avvio di una nuova collaborazione che mi vedrà, da Gennaio 2021, Docente per il corso di Filosofia nelle Aziende e nelle Organizzazioni presso la Scuola Superiore di Counseling Filosofico (SSCF) di Torino, dipartimento di Filosofia applicata dell’Istituto Superiore di Filosofia Psicologia Psichiatria (ISFiPP).

    Una nuova, bella responsabilità in cui esperienza di Business, Filosofia e Formazione potranno danzare in dialogo sulle tre dimensioni, confluendo in una dinamica ed innovativa proposta formativa.

    Nuove pratiche riflessive per lo sviluppo personale consapevole, wellbeing, lifelong learning e ‘reskilling’ delle capacità.

    Chiara Sivieri, Docente al Master SSCF per il Corso di Filosofia nelle Aziende e nelle Organizzazioni

    Per saperne di più sul Master, il calendario, il programma e le modalità di iscrizione, potete trovare maggiori informazioni qui e cliccando sull’immagine sotto:

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    MIND YOUR MIND. Mindfulness e pratiche riflessive per affrontare lo stress lavorativo

    “Dai a questo ci ripenso a settembre…”. “Dopo le vacanze quest’anno inizio a...”. “Con questo ripartiamo alla grande dopo l’estate…”.

    Come è andato realmente il vostro Settembre?

    In un lampo ci siamo lasciati alle spalle questo mese simbolicamente così denso: per molti tempo di bilanci, per altri di nuovi inizi (che siano attuati, progettati, desiderati o anche solo sognati durante il tempo della pausa estiva), per tanti professionisti tempo di corse per chiudere con successo i risultati del trimestre e pianificare il successivo.

    Un mese che può aver creato qualche frustrazione o pensiero in più proprio in virtù del passaggio da un momento di svago e rigenerazione, le ferie estive, ad un ritorno alla propria realtà quotidiana. Passare da una dimensione all’altra richiede spesso un salto che risulta ancor più percepibile per chi si trova ad operare all’interno di contesti organizzativi ed aziendali: al loro interno i nostri piani, le abitudini ed i ritmi estivi hanno dovuto subito fare i conti con le esigenze e i ritmi del business, di colleghi, manager, dipendenti.

    Ed ecco che proprio quello che avrebbe dovuto essere il mese della rinascita e della messa in atto dei nostri propositi, scontrandosi con la realtà può essersi tinto di frustrazione ed averci visto preda di un intenso stress.

    Quando siamo sovraccarichi di stress e tensione perdiamo la nostra capacità di far fronte alle situazioni in maniera efficace utilizzando al meglio le nostre risorse e siamo così più inclini ad alimentare un circolo di frustrazione e conflittualità.

    Come fare per uscirne?

    Due pratiche sono in grado di essere particolarmente d’aiuto, come evidenzia questo articolo di Harvard Business Review: la mindfulness e le pratiche riflessive.

    If you want to break this cycle and have fewer destructive conflicts at work, the first step is to become more aware of your feelings and reactions to pressure and stress. The second step is to consciously manage your emotions, and the third is to start seeing people as people, not as threats. […]

    Schedule time for self-reflection. Like mindfulness practices, self-reflection helps tremendously with self-awareness and self-control. It’s hard to find time to think about our viewpoints and actions in our always-on world, however. So start small. You might, for example, reserve 20 minutes at the end of each week to reflect on what went well and what didn’t. But remember: Don’t fall prey to the “beat myself up” trap and spend this time lamenting what you didn’t get done or what you should’ve done differently. All that does is engender more stress.”

    Harvard Business Review – A 3-Step Process to Break a Cycle of Frustration, Stress, and Fighting at Work

    Da un lato infatti le pratiche meditative come la mindfulness possono aiutarci a riguadagnare la nostra centratura ed una maggiore presenza nel momento presente, riconnettendoci al nostro corpo e radicandoci nel qui-e-ora. Dall’altro, l’auto-riflessione così come condotta attraverso il Philosophical Counseling e le pratiche filosofiche ci aiuta ad acquisire self-awareness (consapevolezza): ci aiuta a osservare i nostri vissuti, fare chiarezza sui nostri pensieri e le nostre emozioni, scoprire e comprendere meglio noi stessi per disegnare in maniera più consapevole il nostro cammino professionale e di vita.

    “Chiamiamo semplice accadere ciò che avviene senza coscienza del significato, esperienza vissuta l’accadere nel quale si sperimenta un significato, e autoriflessione un momento indispensabile di tale esperienza vissuta.”

    Karl Jaspers

    Che settembre vi abbia visti impegnati in una gioiosa ripartenza a tutto sprint o in una faticosa ripresa delle attività, che cosa ne pensate di farne comunque tesoro in quanto vostro?

    Ne avete l’opportunità proprio ora. Fermatevi qualche minuto questa sera a riflettere sul mese che avete appena vissuto.

    Quali erano i vostri desideri? Che cosa non è andato secondo le vostre aspettative? Quali erano le vostre aspettative? Come vi siete sentiti?
    Che cosa vi ha infastidito o vi ha fatto sentire sotto pressione? Di quali aspetti di voi stessi/progetti/cambiamenti/relazioni vi sentite più orgogliosi e soddisfatti? A quali cose per voi importanti non avete dedicato abbastanza attenzione?

    Vi regalarete la possibilità di “rendere ottobre il vostro nuovo settembre” e ridisegnare il cammino dei prossimi mesi.

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    ORGANIZZAZIONI ADATTIVE E PRATICHE RIFLESSIVE

    Come fiorire in un mondo che cambia



    Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un articolo di Deloitte che ha stimolato la mia riflessione: evidenziava quanto sia oggi imprescindibile per le organizzazioni ripensare le proprie abitudini e pratiche manageriali nell’ottica di una maggiore attenzione a dimensioni umane quali significatività, ben-essere e scopi (purpose). Dimensioni e bisogni umani universali, profondamente radicati in noi ma forse per troppo tempo tenuti in secondo piano in ambito business.

    Ve ne ripropongo un breve estratto:

    COVID-19 has reinforced our conviction that human concerns are not separate from technological advances at all, but integral for organizations looking to capture the full value of the technologies they’ve put in place. As organizations looked to adapt their ways of working in response to the crisis, they found that, in many— though not all—parts of the world, technology was not the greatest challenge. […] In those where the technology has been available, one of the biggest barriers was the difficulty of building models to integrate humans with those technologies: to create new habits and management practices for how people adapt, behave, and work in partnership with the technology available to them; to fulfill distinctly human needs such as the desire for meaning, connection, and well-being at work; to maximize worker potential through the cultivation of capabilities; and to safeguard ethical values.

    From Deloitte Insights. “Returning to work in the future of work Embracing purpose, potential, perspective, and possibility during COVID-19

    Abitare la complessità dell’ecosistema in cui siamo calati e muoverci in esso in maniera efficace e soddisfacente è una sfida complessa per persone e organizzazioni. Per affrontarla con successo, ben-essere e sviluppo personale sono elementi fondanti su cui tanto le aziende quanto i singoli devono oggi più che mai porre attenzione, investimento e cura.

    Il tempo della crisi è per definizione tempo ambiguo, di cambiamento: vengono meno certezze usuali e nello stesso momento ci troviamo di fronte ad embrionali possibilità di evoluzione e sviluppo. Sta a noi, come persone e come organizzazioni, decidere quali possibilità alimentare e quindi quali tra le molte possibili far crescere realmente.

    Come fare?

    Ritengo che una chiave sia imparare ad abitare dinamicamente il cambiamento, a muoverci consapevolmente nel divenire. Valorizzando e stimolando capacità che già possediamo, che le nostre persone già possiedono. Come diceva la filosofa spagnola Maria Zambrano:

    Una vita vera sarà quella che sa attraversare il suo tempo, essere innanzitutto un modo felice di muoversi nel tempo, senza risultare sottomessa come le cose, tremante come i vegetali o prigioniera come l’animale, ma desta e libera come deve essere l’uomo.”

    Maria Zambrano

    Allenare la nostra capacità di muoverci felicemente nel tempo e far fronte al perpetuo mutamento significa allenare le nostre competenze più “umane” e le nostre soft skills. Su questi aspetti, pratiche riflessive come il Philosophical Counseling e le pratiche filosofiche possono dare un grande contributo in quanto consentono di stimolare e riattivare la varietà delle dimensioni del nostro pensiero e donare autenticità al nostro modo di vivere nel mondo. Elementi importanti per una leadership autentica, dinamica, recettiva, in grado di creare le condizioni per tirare fuori il meglio da sè e dagli altri.

    Nato in Germania negli anni ’80 e poi diffusosi negli altri paesi europei e negli Stati Uniti (dove è stato reso celebre dal best seller di Lou Marinoff “Platone è meglio del prozac“), il Philosophical Counseling è una pratica con cui vengono stimolati processi decisionali e chiarificatori attraverso metodi e strumenti, appunto, di tipo filosofico, con il fine di rispondere a specifiche domande e questioni dell’esistenza quotidiana.

    A me piace descriverlo come l’opportunità di ritagliarsi momenti e spazi per sè durante i quali avere la possibilità di condividere aspirazioni, difficoltà, desideri di sviluppo in dialogo con un partner di pensiero. Il ruolo del Philosophical Counselor è quindi quello di agire come un catalizzatore in grado di stimolare una maggiore consapevolezza, illuminando i nostri punti ciechi e rendendoci in grado di utilizzare al meglio le risorse di cui già disponiamo… ma che magari per svariati motivi avevamo smesso di valorizzare o di riconoscerci.

    I benefici derivanti da questo tipo di percorsi hanno sfumature personali differenti per ciascuno ma, volendo trovare un comune denominatore, sono accomunati dal regalare al nostro sguardo sul mondo maggiore ampiezza, profondità e ricchezza. In un momento storico in cui aziende ed organizzazioni sono alla ricerca di prospettive innovative e valorizzano la ricchezza portata dalla diversità, tali benefici sono in grado di tradursi in motore di cambiamento reale.

    La varietà e solidità del patrimonio di strumenti e tradizioni cui le pratiche filosofiche possono attingere consentono un vero e proprio tuffo in una vasca di rigenerazione per il nostro pensiero e ben-essere! ( (Ecco quindi: la maieutica socratica, che ci accompagna a scoprire le nostre verità interiori; la saggezza stoica, che ci aiuta a prendere la vita con filosofia; il movimento ossigenante del pensiero ispirato alla dialettica hegeliana; il metodo analitico, per disegnare più consapevolmente idee e concetti che guidano il nostro agire; lo sguardo fenomenologico, per osservare sospendendo il giudizio; l’interpretazione ermeneutica, che ci supporta nell’acquisire consapevolezza dei significati che doniamo alla nostra vita spesso in maniera implicita).

    Chiave, compito e competenza importante del vostro partner di pensiero è far confluire questa ricchezza in pratiche attuali, semplici ed efficaci per persone ed organizzazioni: le possibilità sono molte, dai workshop per team e gruppi di lavoro al Coaching socratico per Manager e Leadership team, dalla Philosophy for Community per team ed organizzazioni, al Philosophical Counseling individuale. Perchè organizzazioni e persone possano fiorire in questo mondo che cambia.

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    THIS IS ME. Il coraggio del cambiamento

    Il desiderio di scoprire chi siamo, la determinazione di realizzarlo.

    Giovedì 11 Giugno live sul profilo Instagram di GirlsRestart ho avuto il piacere di dare il mio contributo a questo progetto così generoso e generativo. Nella forma di un aperitivo virtuale dal tono informale, mi sono confrontata con l’eccezionale Alessandra De Carlo in una chiacchierata su temi molto cari ad entrambe.

    Ne è scaturito un dialogo ricco di amore per l’umano e per il suo sviluppo, pratiche di coaching e counseling a supporto delle organizzazioni, storie di cambiamento e di nuovi inizi.

    Percorsi di evoluzione reali, i nostri, che attraverso decisioni ed il superamento di difficoltà e bias ci hanno condotto a disegnare una vita in cui “testa, cuore e pancia” (utilizzando le belle parole di Alessandra) potessero andare all’unisono.

    Riprendendo il teaser dell’intervista:

    “Cosa c’entrano la filosofia, la tecnologia, il coaching e una piscina termale? Ce lo raccontano due donne appassionate di persone e cambiamento. Scopriamolo con Alessandra De Carlo, mamma, moglie, executive coach e imprenditrice e Chiara Sivieri, filosofa, Philosophical Counselor ed Enterprise Relationship Manager in LinkedIn.”

    Tornerò con approfondimenti dedicati sulla ricchezza dei contenuti che abbiamo solo toccato in questo dialogo ma, per ora, vorrei concludere condividendo almeno due spunti che mi porto a casa da questa bella esperienza:

    • l’importanza ed il valore di un network, una rete di relazioni supportive. Oltre alla conoscenza della splendida Alessandra, lavorare dietro le quinte alla preparazione del live mi ha consentito di conoscere molte altre splendide persone e professioniste, con cui poter progettare insieme e collaborare in futuro;
    • un ulteriore segnale a conferma di quanto la sincronicità inizi a farsi sentire nelle nostre vite proprio nel momento in cui decidiamo di prenderne in mano il divenire, per disegnarle in maniera consapevole ed autentica.

    Su quest’ultimo aspetto, mi piace ricordare le parole di Rollo May, uno dei padri del Counseling centrato sulla persona:

    “La natura fornisce l’aiuto delle sue forze a chi ha iniziato un cammino costruttivo; si innesca una progressione geometrica, nel senso che più la personalità si risana più guadagniamo in salute.”

    Rollo May, da “L’arte del Counseling”

    Dunque… buon restart a tutti noi!

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    Girls Restart: una community per la ripartenza femminile

    Tutto è iniziato un mese e mezzo fa. Eravamo ancora nel bel mezzo del lockdown quando una cara amica e professionista che stimo molto mi ha coinvolto in un gruppo whatsapp: al suo interno, professioniste con profili e competenze diversificati hanno iniziato un dialogo su un tema che è emerso fin da subito come fondamentale e prioritario. La necessità di fare qualcosa a sostegno delle donne per l’ormai prossima ripartenza post-quarantena.

    La volontà di dare il proprio contributo e di mettere a fattor comune le proprie competenze, unitamente al gran lavoro fatto in maniera spontanea e con entusiasmo da moltissime partecipanti, hanno fatto evolvere in meno di un mese l’iniziativa nata dall’intuizione e dal carisma di Barbara Cominelli, dandogli la forma di una community al femminile per il restart ed il sostegno lavorativo. Che cos’è dunque Girls Restart?

    Girls Restart è uno spazio aperto, libero, digitale per le donne che hanno voglia di fare rete, contribuire alla ripartenza e donare tempo ed esperienze per ispirare, accompagnare, rinnovare e sostenere altre donne affiche’ possano crescere, vincere le proprie sfide e realizzare i propri sogni lavorativi.

    Dall’articolo di Grazia del 28 maggio 2020. Girls Restart: una community al femminile per la ripartenza e il sostegno lavorativo

    Essere parte di questa community fin dal suo esordio è stata ed è per me un’esperienza di grande arricchimento umano e professionale: la leadership diffusa ed i valori fondanti la rendono un terreno fertile, ricco di autenticità e generatività. L’ambiente ideale dove far germogliare i propri talenti e creare al contempo le condizioni per farlo insieme. Quali sono i nostri valori?

    Generosità: doniamo tempo, conoscenza ed esperienza.

    Interdipendenza: crediamo nella interrelazione tra generazioni, percorsi e background diversi.

    Resilienza: crediamo nella possibilità di reinventarci ed evolvere grazie al potere generativo della nostra rete.

    Libertà: di proposizione condividiamo idee per dare un contributo attivo alla crescita della community e al cambiamento.

    Sostegno: ci supportiamo e ci siamo le une per le altre. Sempre.

    Moltissime le iniziative che stiamo disegnando e costruendo insieme giorno dopo giorno e su cui non mancherò di aggiornarvi nelle prossime settimane.

    Nel frattempo, se anche voi condividete questi valori e desiderate entrare a far parte della community, potete iscrivetevi su www.girlsrestart.com

    Ed infine… vi lascio una rassegna stampa di alcuni articoli che parlano di noi.

    E’ arrivato il momento di ripartire, insieme!